Dall'Antica Roma alla Svezia, passando per la Valle d'Aosta, storia e curiosità della bevanda calda alpina per eccellenza
L'atmosfera magica dell'Avvento, fatta di mercatini, dolci tipici e piatti corroboranti, può essere racchiusa tutta in un bicchiere?
La risposta è sì, e si chiama Vin Brulè!
Ben prima che esterofli Mulled Beer (birra calda), Grog (rum caldo), Hot Apple Cider (sidro di mele caldo) o Mulled Gin (gin caldo) invadessero, dal Mittel-Nord, le nostre tavole, il caldo vino speziato è già da tempo presente e radicato nella nostra cultura eno-gastronomica.
Anzi, l'abbiamo proprio inventato noi!
Vin Brulè alla Latina, pepe, pepe, pepe!
Il Vin Brulè ha una storia bimillenaria e nasce in piena epoca Romana Repubblicana.
La prima testimonianza, giunta a noi, della versione ante litteram (anche se qualche malalingua attribuisce la primogenitura ai Greci... e, dobbiamo ammetterlo, che i discendenti di Romolo e Remo hanno attinto a piene mani dalla cultura ellenica...) è del I sec. a.C., e porta la firma di (niente di meno che, rullo di tamburi...) Marco Gavio Apicio, nel suo De Re Coquinaria (l'Arte Culinaria).
Il noto Apicio è stato la crasi fra Pellegrino Artusi ed Alessandro Borghese, il primo celebrity-gastronomo della storia occidentale.
Bene, grazie alla sua opera porta fino a noi il Conditum Paradoxum (letteralmente, speziato a sorpresa), un vino (sottinteso) dolcificato con abbondante miele (lo zucchero ha da venì), scaldato a più riprese ed aromatizzato con pepe nero (pepe come se piovesse,gettonatissimo dai Romani fino alla scoperta della cannella), lavanda, zafferano e datteri.
Questa bevanda calda viene offerta agli ospiti, tipicamente, a fine pasto, come digestivo.
Il nostro Paradoxum è uno dei tanti tipici Vinum Conditum capitolini, e rientra nella vasta sezione dei Vina Aromaties, ovvero di vini corretti ed aromatizzati con erbe, cereali, fiori, frutta, bacche o spezie, che i figli della lupa, nella loro espansione, hanno portato nei quattro angoli del mondo (allora) conosciuto, subendo, come sempre accade, modifiche e variazioni, in base ai costumi e disponibilità di materie delle zone di diffusione.
Ippocrasso, ovvero, la moda di curarsi col Vino
L'abitudine della bevuta Hot scompare durante il medioevo, dove rimane solo il lato Spicy, e si trasforma in Hypocras (no, non è un nuovo supereroe della Marvel...) o Ippocrasso, vino speziato con miele, cannella e zenzero (obbligatorie!) ed altre erbe a piacere, dove ogni vignaiolo o speziale dell'epoca possiede la propria Royales (miscela) segreta.
Nonostante la leggenda lo attribuisca (falsamente) ad Ippocrate da Kos, il Padre della medicina, da cui la credenza che fosse medicale e medicamentoso (leggenda che ne sostenne la moda fino al Settecento), l'epicentro è l'area culturale francese, da cui, per la grande fortuna della lingua d'Oil (francese antico), in quei secoli, è conosciuto principalmente come Claret o Piment.
Ammettetelo, sareste anche voi felici di essere curati dal vostro medico di famiglia con ricette (mutuabili) di vino, altro che ticket.
In realtà le spezie utilizzate hanno davvero proprietà nutraceutiche, perfette per combattere, in un mondo privo di medicinali, raffreddori o influenze, oltre che per coprire, riccamente e piacevolmente, il sapore del vino, al tempo, di scarsa qualità e sovente rancido a causa delle cattive condizioni di trasporto o conservazione.
Ben presto Torino, la Piccola Parigi d'Italia, ne diventa la Capitale mondiale ed il Re Sole (alias Luigi XIV o Luigi il Grande) il loro miglior cliente, portandolo alla ribalta in tutte (non i peggior bar di Caracas, ma nel) le corti d'Europa; da questa tradizione nel 1786 Antonio Benedetto Carpano sviluppa il Vermut, ma questa è un'altra storia...
Svezia: non più solo maglioni di Natale, Pippi Calzelunghe ed Ikea!
La versione calda rinasce solamente nell'Ottocento, e giunge a noi (e nel resto del mondo) dall'altro caposaldo d'Europa: Roma-Stoccolma-Roma A/R.
È la Svezia a riscaldare animi e vino con il loro Glögg, complice il clima non proprio mite e mediterraneo: vino caldo e zuccherato, speziato con anice stellato, cardamomo, cannella, chiodi di garofano, zenzero, noce moscata, uva passa e mandorle, e consumato durante i pasti.
A fine secolo i vinattieri scandinavi pensano bene di portare questi prodotti prima fra i banchi dei mercati, e successivamente nei mercatini per le Feste, Natale e Carnevale in primis.
Ma è l'Avvento ad appropriarsene, anche per la similitudine fra le spezie utilizzate e quelle delle ricette tipiche e (soprattutto) dei dolci del periodo (pensiamo al pan di zenzero, o a quei biscotti natalizi dell'Ikea dai nomi improponibili come Pepparkakor, Vintersaga o Gifflar Kanel, che se sbagliate ad ordinare vi ritrovate a casa con un comodino in legno d'abete... da montare!), divenendo il Christmas Unmissable.
In Italia lo facciamo “Bruciato”
Dai banchi della Venezia del Nord, la calda onda alcolica finnica invade i mercatini natalizi di tutta Europa, creando il fenomeno dei Vini di Natale, con le proprie variazioni di ingredienti o semantiche (Mulled Wine in inglese, Vin Chaud in francese o Glühwien in tedesco), diverse da Paese a Paese.
E dal profondo Nord, novello Annibale, incontrando le Alpi, il vino caldo ritorna nella primogenita latina Italia attraverso le due principali porte montane: Valle d'Aosta ed Alto Adige.
Fra le due vince la Vallée, decretandone il nome italico ufficiale: Vin Brulè, che, in patois (e non in francese!), letteralmente, significa Vino Bruciato.
Da qui si caratterizza, per vicinanza (geografica e di clima), come bevanda calda tipica di tutto l'arco alpino ed, in seconda battuta, di quello appenninico.
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